Il mantenimento dei figli, anche in ipotesi di separazione o divorzio dei genitori, è da sempre un argomento complesso, che richiede un bilanciamento tra svariati interessi: da un lato il diritto del figlio, anche maggiorenne, ad essere mantenuto dai propri genitori; dall’altro i doveri che il figlio ha nei confronti degli stessi, che qualora non vengano rispettati possono comportare la perdita del diritto.

Il dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli trova fondamento sia nella Costituzione (art. 30 Cost), sia nelle disposizioni del Codice Civile (artt. 147 e 148 Cod. Civ.) 

Ma quando il figlio maggiorenne può considerarsi autosufficiente e decade, pertanto, l’obbligo di mantenimento a carico dei genitori?

La cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su di un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell’avente diritto (nel caso di specie all’attenzione della Cassazione, i problemi lamentati dal figlio, ossia ritardo psico-motorio e conseguenti difficoltà nell’apprendimento, rendevano doveroso il mantenimento da parte del padre, nonostante il figlio a 35 anni non avesse ancora concluso l’Università).

In una recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha stabilito che “in tema di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte del genitore separato non convivente, lo svolgimento di un’attività retribuita, ancorché prestata in esecuzione di contratto di lavoro a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi un’adeguata fonte di reddito, e quindi della raggiunta autosufficienza economica, che esclude la reviviscenza dell’obbligo di mantenimento da parte del genitore a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, fermo restando che non ogni attività lavorativa a tempo determinato è idonea a dimostrare il raggiungimento della menzionata autosufficienza economica, che può essere esclusa dalla breve durata del rapporto o dalla ridotta misura della retribuzione” (Cassazione civile sez. I, 15/12/2021, n.40282).

Non opera, quindi, nessun automatismo ma occorre una valutazione caso per caso che consenta di valutare se il figlio ponga in essere condotte finalizzate, ad esempio, al prolungamento senza limiti del periodo di studi o ad un rifiuto sistematico di qualsivoglia occupazione, che comporterebbero il venir meno dell’obbligo di mantenimento in capo ai genitori.

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